Storia di una antica Città
Ultima modifica 10 aprile 2024
Scrivere di un piccolo paese non è facile come potrebbe sembrare. Il rischio maggiore che si corre, oltre alle ovvie banalità che si finisce col raccontare, è quello di non resistere alla tentazione di «inventarsi» la storia che il paese non ha. Nel caso di Cerenzia almeno il secondo rischio non esiste perchè quella della città antica è una storia autentica e doverosamente documentata. Scritta da un figlio di questa terra che vi ha dedicato anni di ricerche e di studio, attingendo a fonti autorevoli e qualificate, essa è stata il principale riferimento per questo lavoro. Si tratta del prezioso volume di G. Aragona: CERENZIA, notizie storiche sulla città antica. Testimonianze sul paese, a cui rimandiamo il lettore più attento e interessato. Per il resto abbiamo cercato di raccogliere testimonianze di prima mano dalla viva voce degli anziani del paese con la segreta speranza, ardua impresa, di aggiungervi anche una sola piccola cosa.
Quando molti paesi del comprensorio erano semplici «casali», Acerenthia, della quale oggi resta soltanto un ammasso di ruderi, fu un’importante e gloriosa città bizantina. Sul pianoro dove sorgeva l’antico centro, sono ancora evidenti le tracce di un consistente agglomerato urbano, tra cui spiccano, in particolare, un edificio sacro in gran parte conservato e, in posizione eminente, i corposi resti di una struttura più elaborata identificata come il «Vescovato». Acerenthia, Acherontia o Geruntia: sul suo nome e sulle sue origini storia e leggenda si confondono, conferendole un particolare fascino di mistero. Fondata secondo alcuni dagli Enotri, secondo altri dal mitico Filottete, l’urbe era cinta da altissime mura naturali e dominava, così come domina tuttora, la vallata del fiume Lese, un tempo forse chiamato Acheronte, da cui ne deriverebbe l’etimologia.
A distanza di 5 Km. dall’acropoli, sorge il moderno centro abitato, Cerenzia, un piccolo e tranquillo paese posto alle pendici della Sila, a 640 m. s.l.m., facilmente raggiungibile percorrendo la S.G.C. 107 Silana-crotonese. Sede vescovile per nove secoli (dall’VIII al XVII sec.), sette chiese, settemila abitanti: nei momenti di splendore Acerenthia doveva essere veramente un vivace e animato centro urbano, se nel 1189 l’abate Gioacchino da Fiore, nell’individuare un posto tranquillo dove edificare la sua abazia, non ritenne adeguate le falde del Lese, soprattutto per la vicinanza alla «rumorosa Acerenthia».
Cerenzia Vecchia (come la chiamano affettuosamente tutti i cerentinesi) diede i natali ad almeno sei dei suoi vescovi, alcuni dei quali discepoli o amici personali di Gioacchino, che intrattennero stretti rapporti con l’Abazia Florense. L’estensione della diocesi di Cerenzia, stimabile in circa 200 Kmq, comprendeva i territori attuali di Cerenzia, Caccuri, Castelsilano, Belvedere Spinello, Savelli e Verzino. La chiesa di Cerenzia, dedicata anticamente a S. Leone e successivamente a S. Teodoro di Amasea, aveva il titolo di Basilica Cattedrale. Cedimenti continui delle strutture murarie, difficoltà di approvvigionamento di acqua potabile, malaria e terremoti, costrinsero gli abitanti ad un esodo progressivo, che intorno alla metà del 1800 culminò con l’abbandono definitivo ed il trasferimento nel sito attuale.
Nonostante l’abbandono, il rapporto dei cerentinesi con la loro antica città non si è mai interrotto: la visita ai resti della città morta è un continuo pellegrinaggio, che in occasione della festa dell’Ecce Homo, diventa una vera e propria processione di tutto il paese. A dimostrare l’attaccamento dei cerentinesi con la loro antica città, sono anche i numerosi componimenti, poetici o canori, che autori del luogo hanno sempre scritto e continuano a scrivere. Due esempi per tutti: il primo, Acherunthia, di Salvatore Lista, maestro di molte generazioni di cerentinesi, sindaco del paese negli anni ’60 e riferimento culturale costante per la comunità cerentinese, autore di vari scritti. Il secondo, Ruderi, del poeta Teodoro Torchia, maestro anch’egli, prolifico cantore e cultore della storia di queste popolazioni che, pur essendo nato e vivendo a Castelsilano, si definisce con orgoglio «cerentinese purosangue» per le sue origini. Entrambi gli autori, nati negli anni venti, costituiscono la memoria storica del paese e si configurano come gelosi custodi delle nostre migliori tradizioni.